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lunedì 24 gennaio 2011

ROMA Y SUS FUENTES

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Fontane di Roma

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Fontana dei Quattro Fiumi a Piazza Navona
Le Fontane di Roma dimostrano come i romani abbiano sempre avuto una gran passione per le acque pubbliche, dagli acquedotti alle terme e come, dopo i secoli della decadenza, tale passione si sia esternata nella costruzione delle numerose fontane che ornano vie e piazze romane.

Indice
1 L'approvvigionamento di acqua a Roma
2 Fontane monumentali
3 Fontane nuove
4 Fontane ornamentali
5 Fontane fuori le mura e fontanili
6 Fontanelle
7 Le fontane "rionali"
8 Fontane scomparse
9 Voci correlate
10 Altri progetti
11 Collegamenti esterni
L'approvvigionamento di acqua a Roma

Con il taglio degli acquedotti, la decadenza medioevale della città e l'addensamento della scarsa popolazione in Campo Marzio, a Trastevere e in Borgo, l'approvvigionamento d'acqua di gran parte della città prese a dipendere quasi completamente dal Tevere. I problemi di igiene non sembravano preoccupare nessuno, se l'acqua del fiume (decantata in apposite cisterne) era considerata talmente buona che i papi se la portavano anche in viaggio.

Fino al XVI secolo l'unico acquedotto antico che ancora continuava a dare acqua era quello dell'Acqua Vergine, che alimentava la fontana di Trevi. Trastevere e San Pietro avevano fonti proprie, e in generale l'approvvigionamento era garantito da venditori d'acqua e da pozzi privati. La geologia del sottosuolo romano favorisce infatti la formazione di vene d'acqua che raccolgono le acque che scendono dai colli, e ancora oggi molte di queste vene sono vive sotto le case di Trevi e Campo Marzio.

Il ripristino dell'acquedotto Vergine, che era stato avviato già da Niccolò V e proseguito da Pio IV, concluso nel 1570 ad opera di Pio V, fu l'inizio di un radicale mutamento della situazione, e ancora oggi il numero delle fontane a Roma si conta a centinaia, tra fontane monumentali, mostre d'acqua, fontane ornamentali e fontanelle.

Fontane monumentali

Cominciamo con alcune delle più grandi, magnifiche e più importanti fontane di Roma. Alcune di queste fontane costituiscono il punto terminale (la "mostra") di uno degli undici grandi acquedotti che una volta rifornivano l'antica Roma di acqua. Nell'antichità gli acquedotti terminavano in un Ninfeo, un tempietto dedicato ad una Ninfa. Agli inizi dell'era moderna al loro posto furono fatte costruire, soprattutto dai papi, pompose esibizioni, espressione del loro potere. Gli esempi più noti sono la fontana di Trevi e quella del Mosè detta anche dell'Acqua Felice.

La Fontana di Trevi è il punto terminale dell'antico acquedotto dell'Acqua Vergine (Aqua Virgo) fatto costruire da Agrippa. L'aspetto odierno è dovuto a Nicola Salvi tra il 1732 e il 1751, forse su progetti del Bernini.
La fontana del Mosè o Fontana dell'Acqua Felice, situata in Piazza San Bernardo è il punto terminale dell'acquedotto Aqua Felix, dal nome del Papa Sisto V, Felice Peretti. Vi è rappresentato un Mosè che fa sgorgare l'acqua dalle rocce.
Di origine antica sono le due fontane di Piazza Farnese. Le due vasche provengono dalle Terme di Tito.
L'incrocio tra Via delle Quattro Fontane e Via del Quirinale (che dopo l'incrocio prende il nome di Via 20 settembre), al sommo della prospettiva tra Santa Maria Maggiore e Trinità dei Monti, è decorato ai quattro angoli dalle Quattro Fontane volute da Sisto V, che danno il nome alla via.
In Piazza di Spagna, ai piedi della Scalinata di Trinità dei Monti, si trova la Fontana della Barcaccia di Pietro Bernini, padre di Gian Lorenzo Bernini. Tra il 1627 ed il 1629 Bernini senior costruì la fontana in forma di un barcone che affonda, per ricordare - come dice la tradizione - una barca che, a causa dell'esondazione del Tevere, nel Natale del 1598, era stata qui ritrovata. In realtà l'artista risolse in questo modo un problema tecnico: la pressione idrica era troppo debole per fare una fontana più alta.
In cima al Gianicolo, in posizione straordinariamente panoramica, c'è il Fontanone, appunto, del Gianicolo. Voluto da papa Paolo V all'inizio del XVII secolo, come mostra terminale del ripristinato acquedotto di Traiano, le colonne che lo ornano provengono dalla basilica antica di San Pietro.



Fontana di Trevi


Fontana dell'Acqua Felice


Una delle due fontane di piazza Farnese


Fontana della Barcaccia a Piazza di Spagna




Piazza Navona ospita un insieme di fontane monumentali: la principale è la Fontana dei Quattro Fiumi, eretta nel 1651 da Bernini al centro della piazza. Fa da base ad un obelisco e rappresenta i quattro continenti allora conosciuti attraverso i loro maggiori fiumi: il Danubio per l'Europa, il Nilo per l'Africa, il Gange per l'Asia ed il Rio della Plata per l'America. A Lione c'è una fontana molto simile.
Siccome la piazza doveva essere periodicamente allagata per ospitare le feste "navali" del Carnevale romano e non solo, alle due estremità furono costruite altre due fontane: la Fontana del Nettuno, la cui vasca fu costruita nel 1576 su disegni Giacomo della Porta, e la Fontana del Moro.
Piazza San Pietro è decorata da due grandi fontane i cui getti cadono in due grandi tazze monolitiche di granito orientale ricavate da monumenti romani.
Tra le non molte fontane monumentali moderne va notata la Fontana delle Naiadi, in Piazza della Repubblica, costruita nel 1901 da Mario Rutelli per fornire una prospettiva monumentale alla allora elegantissima via Nazionale, che collegava la stazione Termini a piazza Venezia





Piazza Navona, fontana del Nettuno


Piazza Navona, fontana del Moro


Piazza Navona, fontana del Moro


Le fontane di Piazza San Pietro


Fontanoni dell'Acqua Paola al Gianicolo e a Ponte Sisto



Fontane nuove

Negli ultimi anni, interventi di riordino e nuovo arredo urbano hanno regalato ai romani nuove fontane:
fontana nella nuova piazza Romana all'Acquedotto Alessandrino (Municipio VII)
fontana di piazza Capelvenere ad Acilia (Municipio XIII)
fontana nuova di piazza San Cosimato a Trastevere
fontana nuova dell'Ara Pacis







La fontana nuova di piazza San Cosimato



Fontane ornamentali

Numerose sono anche le fontane ornamentali. Solo per citarne alcune:
La Fontana del Tritone a Piazza Barberini, lavoro di Gian Lorenzo Bernini del 1642. Fino al XVIII secolo venivano lasciati davanti a questa fontana i morti sconosciuti per favorirne il riconoscimento. La fontana dà il nome a Via del Tritone, la strada in salita che arriva da Piazza Colonna.
Sempre di Bernini (1644) è la Fontana delle Api, all'angolo di Piazza Barberini con Via Veneto. Le api sono parte dello stemma della famiglia Barberini.
Ancora tritoni - motivo ornamentale assai frequente nelle ornamentazioni connesse all'acqua - si trovano nella fontana di fronte a Santa Maria in Cosmedin (alla Bocca della Verità).
Un piccolo gioiello nascosto è la Fontana delle Tartarughe, in mezzo alla piazzetta Mattei, dietro al Portico di Ottavia. Fu costruita tra il 1581 ed il 1584 su progetto di Giacomo della Porta. Solo nel 1658 vennero aggiunte le Tartarughe che secondo la leggenda sono un'invenzione di Bernini.
Una fontana assai curiosa è quella del Babuino: la singolare bruttezza della statua antica che adornava la sua vasca quadrata, messa in opera nel 1576, la impose all'attenzione dei romani, che anzitutto cominciarono a chiamare la divinità rappresentata "il Babuino", poi dalla statua denominarono la strada, e infine la posero tra le statue parlanti (Marforio, Pasquino, Madama Lucrezia, l'abate Luigi).



Fontana del Tritone a Piazza Barberini


Fontana dei tritoni alla Bocca della Verità (Santa Maria in Cosmedin)


Fontana delle Tartarughe


Fontana del Babuino





Fontane fuori le mura e fontanili

Le fontane di Roma non allietano solo il centro: fuori o addossate alle mura o lungo il percorso degli acquedotti esistevano molte fontane e fontanili per utilità dei contadini e del bestiame, o da cui sgorgavano acque particolari, come l'Acqua Acetosa.
Le stesse fontane di città erano dette spesso Beveratori, quando di forma semplice (un vascone frequentemente adattato da un sarcofago o altro marmo antico) ed accessibili anche agli animali (cavalli, somari, ecc


).
Anche i nuovi quartieri costruiti o riordinati dopo l'Unità d'Italia furono dotati di nuove fontane, fino agli anni trenta. Esiste ad esempio nel S.VIII Gianicolense in via Bravetta la Fontana del Sole alimentata dall' Acquedotto del Peschiera-Capore; Alla Garbatella, in Piazza Ricoldo da Montecroce, una {{citazione necessaria|fontana detta la fontana degli innamorati, perché luogo tranquillo e poco illuminato dove, soprattutto in passato, si incontravano le coppie di innamorati. Ha il volto di una donna che gli abitanti del quartiere chiamano affettuosamente Carlotta.


L'abbeveratoio di Clemente XI a Santa Maria in Cosmedin


La fontana di Porta Cavalleggeri


Fontanile fuori Porta del Popolo


La fonte dell'Acqua Acetosa


Fontana del Sole via Bravetta






Fontanelle

Oltre alle fontane monumentali e più note, strade e giardini di Roma sono popolati da circa 2500 fontanelle da cui l'acqua scorre giorno e notte. Le più comuni sono quelle dette Nasoni, forme cilindriche di metallo (ghisa o ferro) da cui l'acqua scorre attraverso un arcuato tubo d'acciaio che ai romani diede l'idea di un naso (da dove il nome), sparse per tutta la città, che furono volute dal primo sindaco della capitale unitaria, Luigi Pianciani, nel 1872, soprattutto per servire i nuovi quartieri.
Oltre ai nasoni, poi, sopravvivono ancora per il piacere degli occhi e per il refrigerio di romani e turisti, moltissime fontane non monumentali nelle dimensioni, ma storiche per età. Da alcune, era espressamente proibito che bevessero "asini, cavalli, cani e capre"




Leone egizio - fontana (Cordonata a Campidoglio)


Fontana detta "del Facchino", a Santa Maria in via Lata (via del Corso)


Fontanella a via Giulia (XVI secolo)


Fontana del leone a San Salvatore in Lauro (XVI secolo)


Le fontane "rionali"

Nel 1926 su proposta di Tommaso Bencivegna, Filippo Cremonesi, da poco nominato primo governatore di Roma, decise di commissionare la realizzazione di fontane ornate con gli stemmi rionali.
L'incarico fu assegnato a Pietro Lombardi, un architetto che aveva già realizzato la Fontana delle anfore situata a piazza dell'Emporio a Testaccio.



Sant'Eustachio - via degli Staderari


Pigna - piazza S. Marco, vicino al Vittoriano


Trastevere


Testaccio



Altre sono:
Fontana del timone, sul Palazzo S. Michele (Ripa)
Fontana di Porta Angelica (o "delle tiare") tra il colonnato di Piazza San Pietro e il Passetto di Borgo.
Fontana di Via Margutta (o degli artisti)
Fontana dei Monti
Fontane scomparse [modifica]







Con il passare del tempo, delle ricostruzioni e della proprietà degli immobili, varie fontanelle pubbliche furono eliminate o spostate altrove, magari dopo decenni di letargo in qualche deposito. Rimasero però, in alcuni casi, tracce della loro presenza.
in via de Prefetti (Campo Marzio) il Palazzo Capilupi ospitava una fontanella che diede (forse) il nome alla prospiciente via della Lupa. La fontanella è perduta, ma ne rimane, nell'androne del palazzo, la lapide di dedica e istruzioni.
in via della Scrofa (rione Sant'Eustachio, ma a 100 metri dalla precedente via dei Prefetti) è rimasto il bassorilievo da cui sgorgava l'acqua; la vaschetta fu spostata all'angolo del palazzo (ex Convento degli Agostiniani divenuto, dopo il 1870, sede del Ministero della Marina), su via dei Portoghesi.


Voci correlate

Piazze di Roma
Acquedotti di Roma
Monumenti di Roma
Nasoni
Altri progetti

Wikimedia Commons contiene file multimediali su Fontane di Roma
Collegamenti esterni

tutte le fontane di Roma
tutte le fontane, i giochi d'acqua della città Roma (con foto)
I Nasoni entro le mura di Roma
I Nasoni inseriti su mappa dai romani (in stile Wiki)
Roman Bookshelf - Le Fontane Pubbliche nelle Piazze di Roma Moderna - 1774
tutto sulle fontane di Roma e i loro autori (archiviato dall'url originale)
Fontane di Roma nel sito del Comune
www.thais.it
Portale Architettura Portale Roma
Categoria: Fontane di Roma

Grazie (mitologia) - Wikipedia

Grazie (mitologia) - Wikipedia


Grazie (mitologia)

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La Primavera di Botticelli (dettaglio).

Le Grazie (in latino Gratiae) erano figure della mitologia romana, le quali erano tuttavia solamente una replica latina delle Cariti greche (in greco antico Χάριτες). Questi nomi fanno riferimento alle tre divinità della bellezza e, probabilmente sin dall'origine, alle forze legate al culto della natura e della vegetazione. Sono infatti queste fanciulle a infondere la gioia della Natura nel cuore degli dèi e dei mortali.

Indice

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Nei miti [modifica]

Origini [modifica]

Queste divinità benefiche erano ritenute figlie di Zeus e di Eurinome[1] e sorelle del dio fluviale Asopo; secondo un'altra versione la madre sarebbe stata Era[2].
Ma anche queste leggende sono finite per dare spazio ad altre interpretazioni: secondo alcuni autori, le Cariti erano nate dall'unione del dio Elio (il Sole) con l'Oceanina Egle[3]. Ma è altrettanto accettata la versione che vede come madre delle Grazie proprio la dea della bellezza e fertilità, Afrodite la quale le avrebbe generate insieme a Dioniso, dio della vite.

Le versioni che riguardano il numero delle Grazie non sono meno complesse; secondo Esiodo, esse sono tre:

Esse sono rappresentate come tre giovani nude, le quali incarnano, nella figurazione classica, la perfezione a cui l'uomo deve tendere nonché le tre qualità che una donna dovrebbe avere.

Nell'arte [modifica]

Nella letteratura, Ugo Foscolo, canta la loro figura nel suo carme intitolato, appunto, Le Grazie.

Nella pittura e nella scultura le Grazie sono state oggetto di numerose opere artistiche, tra le quali:

Note [modifica]

  1. ^ Esiodo, Teogonia 907
  2. ^ Nonno di Panopoli, Dionysiaca 31.103
  3. ^ Pausania 9.35.1

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    sabato 22 gennaio 2011

    Ghetto di Varsavia - Wikipedia

    Ghetto di Varsavia - Wikipedia


    Ghetto di Varsavia

    Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

    Olocausto
    Presupposti
    Leggi di Norimberga · Programma T4
    Campi di concentramento (Elenco)
    Ebrei
    Germania nazista, dal 1933 al 1939
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    Sobibór, Treblinka, Auschwitz,
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    Processo di Norimberga · Altri processi
    Sopravvissuti, vittime, e salvatori
    Superstiti dell'Olocausto · Giusti tra le nazioni
    Vittime della Shoah
    Commemorazioni
    Giorno della Memoria · Yom HaShoah

    Il ghetto di Varsavia fu istituito dal regime nazista nel 1940 nella città vecchia di Varsavia, fu il più grande ghetto europeo. La zona, conosciuta come l'antico "ghetto ebraico" di Varsavia, prima dello scoppio della seconda guerra mondiale era abitata in prevalenza da ebrei, i quali costituivano la più grande comunità ebraica dopo quella di New York.

    Il quartiere chiamato Nalewki era pieno di condomini e privo di spazi verdi, si parlavano l'yiddish, l'ebraico e il russo (dagli ebrei che erano fuggiti dalla Russia) e gli abitanti avevano la libertà di spostarsi e stabilirsi anche negli altri quartieri della città.

    Indice

    Il Muro [modifica]

    Memoriale degli Eroi del Ghetto

    Con l'inizio della guerra, i nazisti trasformarono l'intera zona in ghetto[1] erigendo il 16 novembre 1940 un muro che la circondava completamente e iniziando un processo di distruzione e devastazione che culminò nel 1943, quando il 19 aprile l'Organizzazione ebraica di combattimento si rivoltò alla presenza tedesca con lo scopo di sfidare i nazisti e morire con dignità ed onore; il ghetto fu completamente raso al suolo.

    Già precedentemente erano state uccise centinaia di migliaia di persone: all'inizio, il ghetto ospitava 450.000 ebrei, che occupavano circa il 4% della superficie totale del comune di Varsavia pur rappresentando il 30% della popolazione; questo causò immaginabili problemi di sovraffollamento e gli abitanti del ghetto furono costretti a vivere anche in dieci dentro ad una sola stanza.

    Lo "Judenrat" [modifica]

    Ufficialmente, esisteva un'amministrazione, il Consiglio Ebraico (Judenrat), ma si trattava solo di una copertura per eseguire ordini nazisti: sterminare gli abitanti del ghetto, creando condizioni drammatiche e adottando la strategia della paura e del terrore. Introdussero il lavoro schiavistico nelle fabbriche ebraiche, dopo essersene impadroniti e nell'estate del 1942 cominciò l'evacuazione del ghetto e il trasporto degli abitanti verso i campi di sterminio (principalmente Treblinka) dove trovarono la morte oltre 300.000 persone nelle camere a gas.

    Dopo la fine della guerra, la zona fu completamente ricostruita con complessi residenziali ma vi sono stati costruiti numerosi monumenti in memoria degli orrori.

    La "Via della Memoria" [modifica]

    La "Via della Memoria" (Trakt Męczeństwa i

    Walki Żydów), all'interno dell'antico ghetto, ricorda oggi le atrocità commesse in quegli anni. Si parte dal Monumento agli Eroi del Ghetto (Pomnik Bohaterów Getta), eretto nel 1948 dallo scultore Natan Rapaport e dall'architetto Marek Suzin. Il monumento rappresenta uomini, donne e bambini che lottano tra le fiamme che lentamente divorano il ghetto e una processione di ebrei condotti ai campi di concentramento dalle baionette naziste.
    Il percorso della Via della Memoria è segnato da 16 blocchi di granito, con iscrizioni in polacco, yiddish ed ebraico, che commemorano i 450.000 ebrei uccisi nel ghetto e gli eroi della rivolta.

    Poco lontano si trova anche il "Monumento al Bunker" (Pomnik Bunkra), un grosso masso posto su una collinetta che ricorda la posizione del bunker.

    Nel 1970 Willy Brandt in omaggio alle vittime e come segno di riconciliazione, s'inginocchiò spontaneamente davanti ad uno dei monumenti, sorprendendo tutto il mondo e compiendo un passo importantissimo nel disgelo tra la Germania ed i Paesi dell'Est.

    Il ghetto di Varsavia nel cinema e in letteratura [modifica]

    Sul ghetto di Varsavia, o su vicende ambientate nel ghetto ebraico della città polacca, sono stati girati numerosi film. Fra essi si ricorda qui la pellicola del 2002 di Roman Polanski premiata con il Premio Oscar Il pianista, interpretata da Adrien Brody.

    La vita nel ghetto di Varsavia è descritta nel romanzo del 1979 di Gerald Green Olocausto da cui è stata tratta una miniserie televisiva. Una vasta e coinvolgente narrazione della vita nel Ghetto di Varsavia è contenuta nel magnifico romanzo "Il muro di Varsavia" di John Hersey.

    Note [modifica]

    1. ^ Vedi: Olokaustos.org

    Bibliografia [modifica]

    • Fabio Beltrame, Gli eroi di Varsavia. Resistenza e rivolta nel Ghetto (1939-43), Prospettiva Edizioni, 2007

    Voci correlate [modifica]

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    venerdì 21 gennaio 2011

    Cuba cancela los envíos postales a Estados Unidos "hasta nuevo aviso" - RTVE.es

    Cuba cancela los envíos postales a Estados Unidos "hasta nuevo aviso" - RTVE.es


    Cuba cancela los envíos postales a Estados Unidos "hasta nuevo aviso"

    • La medida ha sido anunciada en una nota divulgada por la televisión estatal
    • La Habana había reaccionado con críticas a las medidas de apertura de Obama
    RTVE.ES / EFE - LA HABANA 21.01.2011

    Cuba ha decidido este viernes cancelar los envíos postales hacia Estados Unidos "hasta nuevo aviso", según una nota divulgada por la televisión estatal.

    La nota indica que Correos de Cuba "no podrá continuar aceptando en sus Oficinas Postales ningún tipo de envío con destino a los Estados Unidos y todos aquellos que sean devueltos por ese motivo, se entregarán a los remitentes en el menor tiempo posible sin costo adicional".

    Esta medida llega después de que la flexibilización de los viajes y remesas desde Estados Unidos a Cuba anunciada el pasado viernes por Washington no convenciese al Gobierno de La Habana, que critica falta de voluntad para cambiar la política de "bloqueo y desestabilización" hacia la isla.

    Reacción negativa

    Los medios oficiales difundieron el pasado lunes el comunicado con el que el Gobierno de Raúl Castro respondió en la noche del domingo a la decisión de Estados Unidos de permitir los viajes a la isla con fines académicos, culturales y religiosos, y los envíos de remesas (hasta 500 dólares por trimestre) a cubanos que no sean familiares.

    Según La Habana, en lo fundamental se trata de disposiciones que ya puso en marcha la administración del demócrata Bill Clinton y que luego fueron derogadas por el republicano George W. Bush en 2003.

    Aunque calificaba de "positivas" las medidas, Cuba las consideraba de alcance "muy limitado" porque "solo benefician a determinadas categorías de norteamericanos" y "no modifican la política contra la isla".

    Cuba creía incluso que Estados Unidos busca "nuevas vías para lograr sus objetivos históricos de dominación" y que ha relajado las restricciones de viajes y remesas para "fortalecer los instrumentos de subversión e injerencia en los asuntos internos de Cuba".

    mercoledì 19 gennaio 2011

    Gastronomía de Antioquia - Wikipedia, la enciclopedia libre

    Gastronomía de Antioquia - Wikipedia, la enciclopedia libre



    Gastronomía de Antioquia

    De Wikipedia, la enciclopedia libre

    La Gastronomía de Antioquia o antioqueña es la gastronomía típica y tradicional que se practica en el departamento de Antioquia. Por extensión, además, se practica en toda la llamada región paisa de Colombia, cuyos territorios del hoy llamado Eje Cafetero fueron parte de Antioquia y luego escindidos del departamento madre por razones políticas.

    El presente artículo se refiere esencialmente a la gastronomía de origen rural que nació durante la conquista española en esta zona del país, y que se convirtió en tradicional antioqueña luego de sobrevivir los procesos de la colonia y la globalización. Este artículo habla sobre esa gastronomía sobreviviente que continúa imperando hoy día en la región paisa.

    Hay que observar que en Antioquia, sin embargo, se practican por igual la gastronomía y la alta cocina internacionales, así como la gastronomía de otras regiones de Colombia, especialmente en Medellín y las ciudades más visitadas del departamento, por razones de su grado de desarrollo o nivel turístico. Pero este tipo de cocina internacional no constituye el propósito de este artículo.

    Contenido


    Origen de la actual gastronomía antioqueña

    Delicioso gazpacho andaluz que nunca llegó a Antioquia, servido en su clásica cazuela de barro. Sus orígenes conocidos en España se remontan a los años 1600.

    La gastronomía raizal que hoy se ve en Antioquia tuvo su origen en los productos agropecuarios disponibles, fundamentalmente el maíz y el fríjol, y variedades de carnes y peces, y de la alimentación de ellos derivada, que los españoles encontraron a su llegada al territorio. Los españoles no trajeron consigo sus recetas culinarias o gastronómicas, más ocupados como estaban en la guerra y la dura conquista. Es decir, se alimentaron aquí y con lo que aquí había.

    Por supuesto, su alimentación fue un tipo de comida desarrollada en zonas rurales de Antioquia, de alta montaña, aisladas durante generaciones del resto de la nación colombiana y del mundo debido a la imposible geografía del territorio. A todas luces los conquistadores no trajeron con ellos la más representativa gastronomía ibérica, y en la tradición culinaria típica antioqueña no hay ni rastros de gazpachos, paella, pistos, jamón serrano, vinos u otras ofertas de la tradición gastronómica ibérica.

    Así pues, los colonos europeos, compuestos por familias españolas, desarrollaron acá mismo una gastronomía autóctona diferente a la suya española, y estos platos americanos, ahora sí platos paisas, han sobrevivido y perdurado hasta hoy tras los procesos de industrialización, urbanismo y globalización.

    Así pues, el término gastronomía antioqueña se refiere aquí al conjunto de alimentos y platos más representativos desarrollados de ese modo en Antioquia, y a la relación que ellos tienen con otros aspectos culturales e históricos del departamento.

    Oferta y extensión de la gastronomía antioqueña

    La gastronomía antioqueña y su cocina ofrecen una amplia variedad de platos genéricos de la cultura antioqueña, pero existe también cierta polarización en varias subregiones hacia algunos tipos de alimentos específicos. Es así como en el departamento existen el municipio del cacao, el de la panela, el del maíz, el de la trucha, el de la carne, el de las frutas, el del fríjol, los del café, del plátano, de la guayaba, de la piña, y así sucesivamente, lo que produce ofertas muy variadas según el lugar, sin que por lo general se abandone nunca la alimentación genérica. En la comarca como un todo se conservan, tanto una base general alimentaria, como una gastronomía típica también generalizada, y ambas tradicionales.[1] [2]

    La tradición comercial y el talante viajero del paisa lo han llevado a establecerse en todos los rincones del país y muchos del mundo, y con él han viajado sus costumbres y su comida. No hay camino de Colombia donde no exista una fonda antioqueña en la que se sirvan sus platos con el sabor original, y en muchos países del extranjero se encuentra la alimentación antioqueña con una buena aproximación a la original, si bien no igual debido a la escasez o incluso a la ausencia de los ingredientes primarios.

    Panorámica gastronómica típica de la región

    Platos y alimentos esenciales de la región:

    • El plato antioqueño más célebre es la Bandeja Paisa, considerada por una importante corriente de opinión del país como plato nacional de Colombia.[3] [4] En su versión más clásica se compone por lo general de fríjoles acompañados con arroz, carne en polvo, chicharrón, chorizo, morcilla, patacones, tajadas fritas de plátano maduro, un huevo frito, tajadas de tomate grande maduro y rojo, aguacate, arepa y hogao. Toda la bandeja paisa gira alrededor de los fríjoles cargamanto. Dado su gran tamaño se sirve en una bandeja, pues por ningún motivo cabría en un plato corriente. En ausencia de bandeja hay que servirlo en varios platos y recipientes normales grandes.
    • Otro plato esencial y raizal de la gastronomía antioqueña son los fríjoles, que se han consumido y se consumen en variadas presentaciones. Además de ser el tema central de la bandeja paisa, los fríjoles en Antioquia se preparan también de otras maneras: fríjoles con garra, fríjoles con pezuña, fríjoles con carne, caldo o crema de fríjoles, frijolada pura, para la cual se cocinan los fríjoles junto con batidos de hortalizas como zanahoria, papa, hogao o verduras frescas.
    • A continuación y después de los fríjoles, como platos esenciales vienen los derivados del maíz, totalmente ancestrales en esta cultura. Tanto es así, que del maíz surgieron las míticas arepas antioqueñas, y se les denomina "míticas" porque, entre otras andanzas, cuando los antioqueños desean homenajear o premiar a algún personaje especial debido a su significado, logros o labores, le colocan en su cuerpo, además del carriel y el sombrero antioqueño, un collar de arepas, costumbre muy del origen de estas tierras.
    • Otros platos infaltables en Antioquia incluyen, al azar, mondongo, tamales, quesitos, carnes de res o cerdo cocidas, fritas o asadas, posta sudada o sudao (también se prepara con la carne llamada falda o "muchacho" en Antioquia), carne desmechada, ropa vieja, morcilla, chorizos, trucha arcoiris, bagre, arroz blanco, pandeyucas, pandequesos y panadería variada y, por supuesto, una amplia variedad de arepas con base en maíz y un sinfín de delicias más.

    Clasificados los alimentos según su naturaleza se observan algunos:

    • En bebidas, licores y aperitivos: Jugos de frutas; aguapanela, aguapanela con leche; chocolate, chocolate con leche, chocolate parviao (chocolate con pan); café con leche y tinto; cerveza, aguardiente antioqueño, solo o con hojas de breva, con avena, jugo de mandarina o frutas como uvas o trozos de mango, coco, cascos de limón o naranja; ron Medellín con mezclador (Coca-Cola, Ginger Ale, agua).
    • En principios y refrigerios: Arepas de arriero, arepa común o tradicional blanca, arepa de tela o tela de arepa, arepa de chócolo o de maíz pelao, arepas varias con mantequilla y sal, quesito, queso campesino u hogao; patacones con mantequilla u hogao, buñuelos, empanadas antioqueñas de carne y papa, empanadas de cerdo, queso y plátano; preparados de plátano maduro relleno con queso, chorizo casero con arepa; chocolate parviao; parva variada.
    • En sopas: Sopas variadas de fríjoles (con garra o pezuña), crema de fríjoles, sancocho antioqueño, sopa de mondongo, sopa de arroz con carne en polvo y tajadas de papas, plátano maduro, tomate y hogao, sopas caseras de papa, yuca o arracacha, o de verduras combinadas.
    • En platos principales: Bandeja paisa, aguacate, tomate grande rojo, lechuga, repollo, albondigón y albóndigas, gallina, pollo, arroz con pollo, cañón de cerdo, carne a la plancha, carne desmechada, asados múltiples, chorizos caseros, morcilla, carne jamonada, costillas de cerdo fritas, carne asada en tiesto, lomo de cerdo acaramelado; acompañamiento casi universal de arroz; acompañamiento secundario de maduro, papas a la francesa, papas cocinadas. Acompañamiento de ensalada con tomate, lechuga y repollo. Ensaladas.
    • En postres o dulces: Marialuisa, parva dulce, tortas o bizcochuelos, pasteles de guayaba y repostería en general (heredadas de Suiza y Argentina principalmente), fresas con crema, piononos, arequipe con brevas, cernido de guayaba, flan de naranja agria, mazamorra con dulce macho (panela, no azúcar), turrones, natilla, helados en todos los sabores, entre otros.[5]

    Listado de los platos típicos antioqueños fundamentales

    Esta es una lista parcial de los platos típicos y tradicionales más representativos de Antioquia. La mayoría de ellos incluye sus correspondientes recetas al final de cada artículo o descripción, almacenadas en Wikilibros.

    Apartado sobre las arepas antioqueñas

    La arepa es un alimento emblemático de Antioquia, hasta el punto de que distinguidos personajes internacionales, incluidos presidentes de otros países, ejecutivos exitosos y demás, han sido galardonados aquí con un collar de arepas. La región posee tradicionalmente una amplia variedad de las mismas. Bien indica Julián Estrada en la revista Semana:[6]

    "...Si de símbolo de territorialidad hablamos, es necesario advertir que en nuestro país existe una comarca, otrora denominada Antioquia la Grande (Antioquia, Caldas, Risaralda y Quindío), cuyos habitantes han convertido la arepa en especie de ícono, no sólo de su alimentación, sino de su manera de ser y de pensar. Para los antioqueños la arepa es todo y la vida no existe sin arepa. En el lenguaje paisa arepa es sexualidad, es ponderación, pero a la vez es torpeza. Paradójicamente, los antioqueños han convertido esta bola de masa en su más ilustre condecoración al adular a propios y extraños con un collar de ellas.

    Según una reciente investigación realizada por la Academia Colombiana de Gastronomía, 'La arepa hace parte de nuestro patrimonio cultural y puede ser considerada como un símbolo de unidad gastronómica nacional… la investigación recoge también un glosario de términos relacionados con la arepa y sus ingredientes, además de la friolera de 75 recetas...'

    Para el colombiano común, el que se le diga ahora que en nuestro país disfrutamos de 75 arepas es algo que merece pregonarse; pero quienes verdaderamente han quedado anonadados con la noticia son los paisas, pues en el resto del país se les reconoce su paternidad arepera; en otras palabras, para los habitantes del resto de Colombia donde hay una arepa… hay un paisa, y para éstos: sus arepas son únicas".

    Y para muestra, en la región tradicionalmente ha habido y continúa habiendo una amplia variedad de ellas para todos los gustos.

    • Las arepas antioqueñas "migas", muy peculiares, son arepas sobrantes que se pasan por agua nuevamente, se parten en pedazos y se tuestan con aceite y mantequilla;
    • Arepa paisa blanca, o arepa de tela (también tela de arepa), se prepara sin sal y se sirve sin relleno para acompañar cualquier comida;
    • Arepa de chócolo, hecha a partir de la mazorca del maíz; suele comerse caliente, untada con mantequilla y trozos de quesito antioqueño encima;
    • Arepa de arriero: se prepara con masa de maíz trillado remojado en agua por largo tiempo, usualmente 5 días, durante los cuales el agua se cambia diariamente. Se come con chicharrón;
    • Arepa de mote, en la cual el maíz se prepara sin retirarle el afrecho. A la arepa de mote se le observan claramente los afrechos, que le imprimen un sabor particular y distintivo;
    • Arepa de maíz pilao: se prepara con maíz entero, diferente a la arepa paisa tradicional, la cual se hace con maíz cocinado;
    • Arepa desmechada, una variedad de la arepa tradicional antioqueña, pero las características distintivas de la arepa desmechada consisten en que viene hecha directamente desde el grano del maíz, cocinado, sin ningún aderezo, hasta la mesa. Para su preparación, el maíz puro y original se muele en una pileta, por lo general de madera, y con la masa así obtenida se hace la arepa. Es la arepa más sencilla de la región antioqueña. Muy común, tradicionalmente, en la ciudad de Sonsón, Antioquia.

    Referencias

    Enlaces externos